Oggi vi voglio parlare dell'artista: Elisa Montessori
Nata a Genova, vive e lavora a Trastevere, Roma, dove ha il proprio studio.
Ha sviluppato un interesse per la pittura fin dalla tenera età. Nel 1953 si laurea in Lettere e Filosofia presso l'Università La Sapienza. Dopo il diploma si forma nello studio di Mirko Basaldella, a diretto contatto con il Gruppo Origine: Colla, Burri e Capogrossi. Insieme a Mirko Basaldella inizia a sperimentare tecniche come la pittura a tempera, la ceramica, la lavorazione dell'oro e l'incisione.
Nel 1955 vinse una borsa di studio per Parigi, ma rimase a Roma dopo aver conosciuto Mario Tchou, un ingegnere italo-cinese della Olivetti da poco separato dalla prima moglie; i due si sposarono lo stesso anno ed ebbero due figlie. La loro casa in via Cappuccio a Milano è stata progettata dall'architetto Ettore Sottsass. Dopo la tragica morte di Tchou in un incidente stradale, si risposò con l'architetto Costantino Dardi, dal quale ebbe la terza figlia, Domitilla Dardi (26 dicembre 1970).
Il regista Francesco Vaccaro ha realizzato su di lei un documentario nel 2004.
Il suo lavoro è multiforme e utilizza diverse tecniche. La cultura asiatica è stata per lui fonte di ispirazione, come nella serie di quaderni e nella mostra del 2011 alla Galleria Giulia.
Un aspetto importante della sua pratica a partire dagli anni '80 è stato il ruolo dell'illustrazione e il rapporto tra immagine e testo nella poesia e nella letteratura. Le sue opere sono state influenzate da Shakespeare, Sylvia Plath, Patrizia Valduga, Emily Dickinson, Marianne Moore, Ingeborg Bachmann e Laura Lilly. Ispirate dalle sue opere, le sue opere fanno parte delle mostre permanenti al Museo di Arte Contemporanea (MACRO) e alla Galleria Comunale d'Arte Moderna, Roma e Farnesina. Un ritratto raffigurante frammenti del suo corpo è stato acquisito nel 2010 come parte della collezione esposta alla Galleria degli Uffizi.
L'isolamento è stato una costante nel percorso artistico della Montessori, non essendo mai stata inserita in una corrente o in un gruppo, e nel periodo in cui iniziò la sua attività questa scelta fu una punizione, anche per una donna in questo senso. Ciononostante non le mancano l'attenzione critica e la partecipazione a mostre importanti come la Quadriennale, la Biennale di Venezia e la Biennale di San Paolo in Brasile.
Elisa racconta di aver disegnato molto fin da piccola e da questo modo di esprimersi è nata la sua attività di artista. Nel tempo questo simbolo è rimasto un elemento essenziale del suo lavoro. Altro elemento protagonista della composizione è il rapporto con lo spazio della carta o della tela, che è sempre bidimensionale. Tutto avviene sulla superficie della tela, non c’è profondità, non c’è idea di spazio prospettico.
I simboli sembrano emergere pezzo per pezzo dalla memoria, una costante che si rincorre, addensarsi e assottigliarsi. Insieme formano un quadro unitario, solitamente un paesaggio, e sono immagini molto spirituali, come scene ricordate ad occhi chiusi.
Per molto tempo il colore rimase un aspetto secondario, talvolta appariva leggerissimo, creando sorprese in ambiti grafici dove solitamente lo sfondo non era dipinto: sulla tela nuda apparivano segni decisivi. La pittura maturò molto più tardi e si diffuse negli anni Ottanta, il colore fu un fatto passionale associato ad un maggiore abbandono.
Forse anche lo spazio fisico dello studio dove lavora l'artista permette espressioni diverse. Sempre nella necessità di conquistare gli "spazi rubati" della vita quotidiana attraverso nuovi studi e la libertà dell'età, Montessori ha scoperto nuovi poteri espressivi.
L'osservazione della forma e della struttura degli elementi naturali, come foglie o rocce, può diventare l'elemento dominante di un suo dipinto. Come lo sguardo di un pittore orientale, il gesto nasce dalla concentrazione di simboli davanti a sé, nasce da osservazioni precedenti e assorbimento, comprensione della forma.
L'artista è ben consapevole del valore del “vuoto” nella cultura visiva orientale: in quanto sorta di pausa e scansione, il “vuoto” è importante quanto il “pieno”. L'equilibrio di questi due elementi porta armonia nell'opera, come nella musica o nella poesia. In Montessori troviamo spesso un rapporto con la poesia. Si tratta di un confronto tra testo e immagine che permette a due codici diversi di dialogare tra loro nonostante le profonde somiglianze.
Negli ultimi anni, spinta dalla curiosità per la sperimentazione, Montessori ha iniziato a utilizzare il mosaico per esprimersi, ed è tornata al suo antico amore per la ceramica per creare varie opere.
Nonostante queste diverse tecniche, lo stile distintivo dell'artista non viene mai meno. Racconti mitologici e corrispondenze con testi letterari, derivanti da un rapporto privilegiato che l'artista ha con la letteratura e la poesia, fanno si che le opere di Elisa Montessori ci accompagnano in un armonico viaggio nella mente, A volte antiche conoscenze relegano ai margini del nostro cervello riaffiorano, ma è necessario che siano le voci opportune a risvegliarle. Quella di Elisa Montessori mi ha rammentato che secondo Plinio il Vecchio la pittura ebbe origine quando una donna tracciò il profilo dell'amato attorno all'ombra proiettata dal suo viso, facendo così la propria comparsa sotto il segno di un'assenza/presenza. Dagli anni '50 Elisa Montessori utilizza linguaggi e stili diversi, senza mai seguire tendenze, movimenti o mode passeggere, utilizzando uno stile minimalista tra pura astrazione e fascino figurativo.
La poetica di Elisa Montessori parte proprio dall'atto del guardare e rapportarsi con il mondo in quanto corpo e sguardo, rifacendosi alla prima scrittura della mano, compulsiva, libera, a tratti violenta, che porta a riprodurre non ciò che si vede dinnanzi a sé ma ciò che si conosce. Una mano che sa più dell'occhio, con una memoria che non traduce la realtà ma registra l'esperienza. Elisa Montessori è interessata all'imperfezione, al casuale, all'irregolarità, alle sorprese e ai rischi.
I Tropismi, terminato preso in prestito dalla botanica, dalla psicologia e dalla musica, sviluppano una percezione visiva lenticolare, una combinazione, tra il paesaggio-ideogramma dai tipici tratti illusivi del disegno orientale e quello documentato meccanicamente. Lo spazio aereo permette di muoversi in un paesaggio senza punto focale, o meglio con una prospettiva sempre in un divenire relazionale.
Calligrafico eppure intriso di un bagaglio culturale proveniente dall'arte occidentale di paesaggisti come Gaspard Dughet o Hercules Pieterszoon Seghers è 14142 x 14142 = 2 metri quadrati di arte , dove un segno insistente e attivo costruisce a poco a poco lo spazio occupato dal mondo vegetale. Una terra lontana dove l'orizzonte fatto di calda sabbia ocra, le nuvole, il riflesso del sole, costruito da una sinfonia di segni compositivi leggeri, si distinguono su un fondale di aria pura e trasparente, descrizione del vuoto, dell'assenza, dell'ignoto, generando un paesaggio al limite tra il verosimile e l'onirico. Nel cammino di Elisa Montessori, che ha discretamente e indipendentemente attraversato la storia dell'arte italiana con un'inimitabile integrità e coerenza, ogni opera è un percorso sfaccettato, personale e relazionale, avviato da un gesto accennato capace di aprire una successione di eventi e pensieri.
La sua poesia è un incessante lavoro di scavo, la sua mano ei suoi occhi si riempiono di esperienze fisiche e mentali, alla ricerca di un intreccio tra uomo e mondo, nella consapevolezza che l'arte sia sacra pur senza religione, ponendosi in una zona liminare che apre «una porta sul buio» . Elisa Montessori è un'artista che vive il mondo.
Le domande che ci vengono da porle sono:
Perché si è isolata alle tendenze del momento?
Perche questa decisione di disegnare solo nel bidimensionale? Ha mai provato diversamente?
Infine ha un suo progetto\dipinto preferito? O che le ha lasciato qualcosa diverso dagli altri?
Fonti:
https://it.wikipedia.org/wiki/Elisa_Montessori
https://www.150anni.it/webi/stampa.php?wid=2029&stampa=1
https://www.monitoronline.org/elisa-montessori-2/
https://www.artribune.com/arti-visive/2023/09/pittura-secondo-elisa-montessori/
"L'Arch-Artista GIOVANNA DE SANCTIS RICCIARDONE"
Si laurea negli anni ‘60 a Roma, presso la facoltà di Architettura Valle Giulia, in un periodo molto particolare.
Nel 1974 mitiga verso ’Associazione Culturale “Il Politecnico”, ideato da Amedeo Fago ed allestito all’interno di alcuni ambienti di una ex fabbrica del quartiere Flaminio rimanendoci più di venti anni lavorando come artista e responsabile della sezione Arti Visive.
Nel 1992 si trasferisce verso un piccolo paese della bassa Umbria per fondare il suo studio, un capannone nella zona industriale, facendo nascere Progetto-Arte, un luogo più adatto alla
scultura progettuale a cui si stava prevalentemente dedicando.
Si è sempre definita una “fuori-casta”, per istinto traditrice e fuggitiva da tutti i “sistemi”,
compreso quello dell’arte.
Parlando della passione, la definisce come un sentimento prepotente, proveniente dal nostro
“spirito del profondo” (Jung), un legame forte, che può durare tutta la vita con qualcosa o qualcuno ed essere anche fonte di profonda sofferenza, ma comunque la spinta della passione che può generare una immaginazione visionaria attiva e creativa, da cui può nascere un progetto non solo in senso architettonico.
Per lei vedendo che siamo circondati e aggrediti dalle immagini, si rende conto che siamo volti a porgere il nostro sguardo verso l'esterno, ma se vogliamo ricercare la nostra creatività lo sguardo andrebbe rivolto dentro noi stessi e prendendoci momenti di meditazione librandoci da tutta la confusione di immagine che ci circonda. Diventando anche un po' narcisisti, infatti si dice che: Narciso cerca l’immagine di sé al di fuori, nello specchio dell’acqua, perché in realtà non ha “immagine di sé”.
Anche se queste immagini che lei chiama "delle magiche lampade di Aladino", ci danno splendide potenzialità, possono però rivelarsi pericolose.
Come ad esempio quella molto ricorrente di spingerci verso dei modelli sempre più estremi a cui ispirarci cercando poi di farlo vedere al mondo con il cosi detto selfie/autoritratto.
Come dice, ognuno di noi è portatore di archetipi, che prima o poi si manifestano dal lago profondo e oscuro del nostro spirito e della nostra psiche, e dobbiamo cercare di farli uscire perchè essi persistono aldilà di tutto, essi possono anche non somigliare a quello che potevamo pensare di noi stessi, e senza di essi saremmo identici alla "massa".
Un archetipo fondamentale per lei fu "Kosmos", ovvero il senso primigenio che l’essere umano ha di essere schiacciato da forze cosmiche, ma anche della necessità di comunicare con esse, che parte dall'uomo delle caverne, fino ad arrivare ai nostri tempi, infatti uno dei nostri miti è Icaro con l’incessante, disperato tentativo di rompere la condanna terribile della gravità, che lo rende preda della terra fino alla morte.
Infatti l'architettura e la scultura parte proprio da questo, prendendo un grave schiacciato a terra e traendolo verso l’alto in posizione verticale mediante l’esercizio della propria forza, si realizza il primo atto di potenza umana, frutto di un progetto, nato da una immaginazione creativa in comunicazione con le forze cosmiche.
La lotta alla gravità attraverso un monolite (menhir) è il primo atto della scultura; attraverso un trilite (dolmen) è il primo atto dell’architettura.
Per lei il suo rito ricorrente è sollevare la massa, sottrarla all’asse verticale, garanzia dell’equilibrio baricentrico, e gioco con lo squilibrio dell’oggetto, la materia e il peso, non arrendendosi alla gravità, ma che lavoro nella contraddizione, racconto la contraddizione tra la forza di gravità.
Se chiudiamo gli occhi viaggiamo ad una velocità spaventosa e con un moto molto complesso. Inoltre l’archetipo evolve con la scienza.
Questo perché l’immaginazione è legata alla visione che ognuno introietta sullo spazio-tempo.
Negli anni ‘70 fa un disegno "i Trafitti" ribaltando un’immagine classica: non è San Sebastiano (il trafitto per eccellenza) che regge le frecce, sono le frecce che reggono San Sebastiano. L’immagine visionaria tradotta in questo disegno dice che il corpo, le masse, noi siamo sottoposti alle forze che ci trafiggono, e sono quelle che reggono i nostri corpi.
Bernini libera la forma e la avvita verso il cielo, quasi mossa dal vento, nell’instabilità delle sue sculture agitate e contorte, su cui passa anni davanti ai panneggi di Bernini, facendo schizzi di studio, foto, disegni minuziosi.
Soprattutto nella scultura, egli rompe veramente con il classicismo. Mette in evidenza un’energia drammaticamente viva e caotica, usando la torsione e la piegatura dello spazio. Come ad esempio per le estasi di Santa Teresa, a Santa Maria della Vittoria, e della Beata Ludovica, a San Francesco a Ripa.
Contraddicendo paradossalmente l’uso che ne fece il potere cattolico, è stata una rottura gigantesca, visionaria, legata a volte segretamente alle condannate ricerche scientifiche. Simboleggiò sfacciatamente che la terra nel cosmo aveva perduto il privilegio del centro.
Altri artisti, studiosi, filosofi, ecc, nel corso dei secoli si sono cimentati con gli archetipi.
Durante la fine degli anni '70 inizia ad appassionarsi al Barocco, vera pulsione dal profondo, e ci sono voluti anni per comprenderne le implicazioni.
Nel 1981, propone la mostra “Materiali per una messa in scena dell’Estasi” nel Castello di Genazzano, dove estrae i misteri delle tante simbologie del Bernini: il fantasma del femminile (che poi traduco in Euridice), l’immagine del caos cosmico, l’intuizione di uno spazio curvo, le forme danzanti ecc. Rimanendo legata alle opere del Bernini nei decenni della sua attività.
Nel 2007 fa a Terni una mostra molto importante, chiamata "Barock", ribadendo la sua estrema passione per il Barocco.
Il Comune fece un’operazione molto interessante: in un’ex fabbrica ristrutturata erano stati collocati vari ed importanti spazi per la cultura. L’insieme si chiamava Caos.
In Soffio le opere volano e rotolano col vento su un fitto intreccio di aste: simbolo delle forze; Fracta, frammenti di memorie, sono installate su dei tavoli ovali che ho disegnato e fatto eseguire in acciaio specchiato (un tema ricorrente, come in Dancing, la forma che specchia se stessa); Coppia, due sculture si affiancano, quasi incastrate come due pesci che navigano in consonanza, anche queste si specchiano su un piano ovale di acciaio.
Un’altra eredità del barocco è la torsione: dei corpi, del piano, dello spazio, dello spirito, dei poteri, delle forme dei timpani, delle colonne, delle pareti.
Nei suoi lavori degli anni ‘80 si lascia affascinare anche dalla geometria delle rigate, strumento di tortura del piano, componendo una sorta di ibrido tra barocco e futurismo.
Ha visto il Futurismo, come l’esito novecentista di questo percorso.”
Nel 1998 inaugura la sua prima mostra di scultura, intitolata “Galaxias”.
Il mondo genera spazi mostro dove l’arte non c’è e non vuole esserci e pare che a nessuno importi che ci sia.
Lei non voleva arrendersi alla rinuncia del mondo al segno dell’arte e la rinuncia dell’arte a segnare il mondo vedendola come una catastrofe ambientale.
Questa sarà la sua ultima mostra, dopo di che nel 1992 aprirà il suo studio "Progetto Arte" in Umbria, non c’era neanche la luce elettrica fuori, né le strade asfaltate, e la sera c’erano solo le stelle nel cielo aiutandola molto a fare silenzio, a conquistare quella dimensione di conoscenza interiore e meditazione.
Il suo spazio a Roma lo aveva mantenuto, invece, solo come spazio espositivo e come sede della sezione Arti Visive dell’Associazione di cui era responsabile ribattezzata Il Politecnico XX Arte.
In quegli anni, approfondì il tema Arte E Città, facendolo con due importanti convegni che si tennero nello Spazio Cinema del Politecnico: uno organizzato da Antonella Greco, vera esperta del tema, e successivamente un altro organizzato da Carmen Andriani, che stava facendo una sua mostra di progetti nello spazio espositivo dell’Associazione. Nei convegni venne ribadita una problematica che era allora molto sentita: l’auspicata presenza dell’arte negli spazi urbani. Questo presupponeva un rapporto anche di collaborazione progettuale tra l’artisti ed architetti, oltre che una ricucitura di reciproci rapporti culturali che doveva iniziare già nelle università ed accademie .
Questa strada che è sempre stata una sua passione, è stata, però, abbastanza tormentata. Si era creata una distanza tra la sua esperienza artistica e quello che era stato il suo precedente ambiente architettonico, anche se a Roma non sono mancati alcuni esempi positivi di collaborazione con architetti, nel suo ruolo di artista: la realizzazione di due piazze, una con Carlo Severati e Stefania Bedoni, Piazza Cardinal Consalvi, l’altra con Aldo Aymonino e il suo studio, per il Concorso “Cento Piazze”, nel quartiere di Decima. Da ricordare furono anche i Concorsi “Meno è Più” per servizi e spazi pubblici, voluti dall’allora assessore Morassut, banditi dal dipartimento VI del Comune di Roma, diretto da Gabriella Raggi, che coinvolgevano architetti ed artisti anche nelle giurie, in cui io fu chiamata a partecipare.
Ci furono anche alcune collaborazioni con lo Studio Anselmi in concorsi in cui era necessaria la presenza di un artista, tra cui la commessa per la chiesa di San Pio a Roma, di cui si occupò della progettazione degli arredi sacri, pensati come frammenti, eredi di “Fracta”.
Per molti anni si dedicò alla scultura progettuale partecipando ai concorsi pubblici.
Riuscendo a realizzare qualche opera importante.
Essendo un’artista fuori mercato, non compare in fiere d’arte, rassegne museali, mostre ufficiali antologiche, memorie critiche relative agli anni in cui ho operato. Si definisce un’artista progettuale.
Si ricordano due lavori eseguiti in merito a questi argomenti: “Stele”, una scheggia della memoria barocca precipitata nella smemorata periferia urbana romana e “Nike”, una vittoria alata, come una farfalla, posata al davanti al nuovo palazzo di Giustizia di palermo, a memoria delle troppe tragedie.
Ormai da parecchi anni sto facendo archeologia di me stessa .
Già prima della scomparsa del mio marito, aveva cominciato un percorso che ha definito "Auto- Meta- Morfosi", perché tutto nella memoria e nella narrazione metamorfizza.
A cura di MS e Sandro Martucci
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